Nonostante, per mia grande fortuna, già da qualche mese non svolga ufficialmente attività di SEO -ho trovato nel fancazzismo la mia dimensione ideale- mi ritrovo ancora a redigere consulenze per i miei ex-clienti storici (vi amo!); capita inoltre di entrare in contatto con perfetti sconosciuti che si rivolgono a me col tipico timore reverenziale di chi è convinto di trovarsi al cospetto di un TOP SEO <spoiler>non lo sono</spoiler><spoilerissimo>non lo sono mai stato</spoilerissimo>. Per questi ultimi, forse perché alimentano temporaneamente la mia autostima, mi metto più che volentieri a disposizione secondo una di queste tre fasce di prezzo: a) ZERO € | b) DONAZIONE PAYPAL | c) UN PASTO CALDO. Inutile dire che la prima opzione è quella più gettonata. Hai presente il classico prospect che ad un certo punto se ne esce con: “Eh ma mio cugino la SEO me la fa gratis!” Nel 99% sta parlando di me. Sono diventato il “cugino che fa il SEO” di mezza tutta Italia.
Assolta la prima parte del post, ovvero l’introduzione, ovvero la parte più difficile per uno scrittore -da lì è tutta discesa, procedo a trattare il tema del giorno: i fattori negativi del posizionamento.
DISCLAIMER
Voglio essere subito sincero con te, caro lettore di cui [according to GDPR – n.d.a.] non ho ben chiare le intenzioni, la geolocalizzazione, gruppo musicale preferito e se hai una sorella carina, il presente articolo non ha finalità filantropiche o di divulgazione. Come ho già avuto modo di chiarire in altre occasioni, la divulgazione SEO, quella gratuita e liberamente accessibile a tutti, ha rovinato un mercato che solo fino ad un lustro fa era florido e invogliava i professionisti del settore ad aggiornarsi, migliorarsi, investire in R&D, rendendolo oggi saturo di wannabe, di improvvisati, di clienti che pensano di saperne più del consulente, di cugini e nipoti che fanno la SEO gratis e lo ha progressivamente spogliato di molti SEO che hanno intrapreso strade diverse e ora fanno tutt’altro. Io ad esempio faccio 140 Kg alla panca piana. #megliocheinuncallcenter.
Ma allora, perché questo post a tema SEO? Perché come ho chiarito nell’incipit, sono un cazzaro indolente e ancora oggi, nel 2019, devo analizzare siti che, ad esempio, non hanno attivato il protocollo https, e sono costretto a spiegare come Google abbia ufficialmente dichiarato che l’https è considerato un indicatore di affidabilità del sito. La prima parte di ogni consulenza è spesso un lunghissimo e dettagliatissimo spiegone di come (e quanto) determinati aspetti siano importanti anche se non incidono in modo diretto sul posizionamento. Ergo: prossima volta che mi troverò a fare una consulenza generica SEO, linkerò semplicemente questo articolo alla voce: Fattori Negativi del Posizionamento.
Nota per i clienti che optano per la terza fascia di prezzo: mi piacciono le lasagne.
I 3 FATTORI NEGATIVI DEL POSIZIONAMENTO (ci siamo arrivati, finalmente)
Per fattori negativi del posizionamento si intende intendo quelle condizioni che si devono rispettare se si desidera che un sito internet abbia il giusto posizionamento su Google. La mancanza di uno o più di questi requisiti non causa penalizzazione, ban, o altre problematiche da incubo; semplicemente, impedisce che le pagine web ottengano la visibilità che potrebbero / dovrebbero ottenere. Google punta sulla qualità dei documenti che posiziona a seguito di una ricerca e quelli che seguono sono visti dal motore come dei “SIGNAL”, segnali, di qualità. Parafrasando: sono condizioni ostative che se non soddisfatte il sito si posiziona meno bene.
Dei tanti fattori che si considerano “negativi”ho selezionato gli unici tre su cui Google si sia ufficialmente sbottonato e ne abbia sancito l’esistenza.
1. HTTPS (HTTP over SSL )
E’ da quasi 5 anni che Google si è pronunciato ufficialmente. In prima battuta fu solo un consiglio, che poi si trasformò in un’indicazione, fino a diventare l’imperativo che è oggi. A partire dai siti che hanno un qualche minimo form sulle pagine, anche solo un normale campo di ricerca interna, fino ai siti che hanno moduli di iscrizione e login screen, il diktat è uno solo: https è meglio. Fonte: https://webmasters.googleblog.com/2014/08/https-as-ranking-signal.html
Nota a margine: questo blog, per ora, non ha l’https, è vero. Ma a differenza vostra, che si posizioni o meno non mi cambia nulla.
2. Velocità di accesso e download (the faster, the better)
Google divenne un feticista della velocità di scaricamento delle pagine web il giorno in cui, per la prima volta nella storia, il traffico web MOBILE superò quello DESKTOP. Prima di allora, il motore di ricerca californiano metteva a disposizione un tool proprietario per la misurazione della velocità del sito, ma era visto più come uno strumento di marketing, per diminuire il bounce rate e non perdere potenziali clienti che riscontrando lentezza di caricamento avrebbero pigiato il dannatissimo tasto “BACK”.
Strumenti di riferimento: Pagespeed Insight di Google, ovviamente. ma ne suggerisco uno ancora migliore, a mio parere, per l’approfondimento dei report che produce: GT METRIX, gratuito nelle sue funzionalità base, a pagamento se vuoi personalizzare i PDF con il tuo logo aziendale. Nel mio caso: chi se ne frega.
Curiosità: secondo Search Engine Journal, la velocità come conditio sine qua non è stata oggetto di uno specifico update di Google nel Luglio del 2018.
3. Responsiveness (last but not least)
Per ultimo, il RE dei fattori negativi. The KING of negative factors. L’apex predator di tutti i fattori negativi passati presenti e futuri. La responsività del sito internet, la compatibilità totale e assoluta con i dispositivi mobili. Un predominio su tutti gli altri requisiti assurto a vera e propria dittatura tecnologica con l’avvento del Mobile First Indexing (indicizzazione prioritaria dei contenuti per dispositivi mobili) ossia, detto con le parole del sito di Google per sviluppatori:
L’indicizzazione con priorità ai contenuti per dispositivi mobili fa sì che Googlebot esegua la scansione e indicizzi prima di tutto le pagine con lo smartphone agent. Continueremo a mostrare l’URL più appropriato per gli utenti, che si tratti di un URL desktop o per dispositivi mobili, nei risultati della Ricerca.
Fonte: https://developers.google.com/search/mobile-sites/mobile-first-indexing
Raffinato simil-politichese che tradotto in poverissime parole suona come: se il tuo sito web non è compatibile con gli smartphone, o lo è solo parzialmente, o contiene quelli che, secondo l’arbitrario giudizio dello smartphone agent, sono errori di visualizzazione, Google penserà che sei uno scappato di casa e il valore della tua proposta sarà considerato come prossimo allo zero.
Strumenti di riferimento: Google Mobile Check — occhio però a non limitarsi a godere della luce verde che sancisce la compatibilità del tuo sito con i dispositivi mobile, ma approfondisci se vi sono comunque errori (reali o percepiti) nel codice: testi piccoli, elementi troppo vicini tra loro, link impossibili da cliccare ecc. Il suggerimento è quello di attivare sempre la Search Console di Google, a scopo diagnostico.
In conclusione.
Tutto qui? Mi dirai. Solo tre? Sì, ma hanno un’importanza capitale. Sono condizioni essenziali che, se non soddisfatte, possono ridimensionare l’impatto di qualsiasi altra ottimizzazione SEO, interna o esterna, tu abbia intenzione di implementare sul tuo sito.
Come scritto prima, mi sono limitato ai tre fattori negativi “ufficializzati”, gli unici di cui oggi si possa reperire una fonte diretta. Però se tuo cugino (l’altro, non io) sa qualcosa che io non so, i commenti sono aperti. Your move, SEO.